Il tema del seminario di quest’anno è il concetto di narcisismo.
Havelock Ellis ha introdotto, nel 1892, il termine di narcisismo per indicare un tipo di perversione sessuale, in cui l’individuo preferisce sessualmente il proprio corpo.
Il tema è vasto ed è stato molto approfondito, nelle varie scuole di psicoanalisi, per quanto riguarda lo studio delle patologie psicotiche. Infatti, è uno dei concetti più importanti nelle scoperte di Freud.
L’ importanza di questo concetto non è stata, però, valutata a sufficienza per quanto riguarda la cosiddetta persona normale.
“…Nella teoria freudiana ortodossa e nella terapia”, dice Fromm, “il concetto di narcisismo è rimasto confinato a quello del bambino e a quello del paziente psicotico.”
In questo seminario, in coerenza con i precedenti, mi propongo di proseguire l’esame dei vari concetti psicoanalitici applicati, però, alle cosiddette persone normali.
Oggi concentrerò l’attenzione esclusivamente sul narcisismo delle persone considerate normali.
Qual è lo sviluppo del narcisismo nella persona normale?
Per Freud, il feto nel grembo materno vive in uno stato di assoluto narcisismo. “Nascendo”, dice Freud, “siamo passati da un narcisismo assolutamente auto-sufficiente alla percezione di un mondo esterno mutevole e all’iniziale scoperta degli oggetti”.
“Passano dei mesi”, aggiunge Fromm, “prima che il bambino possa percepire gli oggetti esterni come tali, come facenti parte del non-io. Attraverso molti colpi al narcisismo del bambino, si determina la sua conoscenza sempre più ricca del mondo esterno e delle sue leggi…”
L’uomo, in tal modo, passa dal suo originale narcisismo all’amore per l’altro.
Si può notare “che lo sviluppo normale dell’individuo può definirsi”, in termini freudiani, “come l’evoluzione dal narcisismo assoluto iniziale ad una capacità di ragionamento obiettivo e d’amore per l’altro.”
Entrando più in dettaglio, il bambino appena nato “non ha ancora rapporti col mondo esterno…La sola realtà che esiste per il bimbo è se stesso: il suo corpo, le sue sensazioni fisiche di freddo e di caldo, la sete, il bisogno di dormire e di contatto fisico…Per questo motivo il bambino piccolo è estremamente narcisista, perché all’origine non esiste per lui altra realtà al di fuori della sua persona.”
Il narcisismo, quindi, è un atteggiamento in cui ciò che è soggettivo (i miei sentimenti, i miei bisogni fisici e tutti gli altri bisogni) è molto più reale di ciò che è oggettivo, al di fuori di me.
Tutto ciò è perfettamente normale e naturale per il neonato in quanto, per lui, non esiste ancora una realtà al di fuori di quella interiore, dei suoi bisogni e, la percezione del mondo esterno, fino ad un certo punto, non esiste proprio.
La persona adulta affetta dalla patologia narcisistica, dice Fromm, “non si differenzia sostanzialmente da quella del neonato. Ma mentre per il bimbo il mondo esterno non è ancora emerso come reale, per il malato mentale esso ha cessato di essere reale.
La psicosi, (la malattia mentale, la pazzia) è uno stato di assoluto narcisismo nel quale la persona ha infranto ogni nesso con la realtà esterna e ha sostituito la propria persona alla realtà, essa è completamente piena di sé, è divenuta Dio e il mondo per se stessa.”
Freud ha visto l’analogia di questa condizione di narcisismo con il mito di Narciso.
Secondo il mito greco, riporta Lowen, “Narciso era un bel giovane di Tespi di cui si innamorò la ninfa Eco. Eco era stata privata della parola da Era, la moglie di Zeus, e poteva soltanto ripetere le ultime sillabe delle parole altrui. Incapace di esprimere il suo amore, Eco fu respinta da Narciso e morì di crepacuore.
Gli dei punirono allora Narciso per la durezza con cui aveva trattato Eco facendolo innamorare della propria immagine.
L’indovino Tiresia aveva predetto che Narciso avrebbe cessato di vivere nel momento in cui si fosse visto. E un giorno, chinandosi sopra le limpide acque di una fonte, colse la sua immagine riflessa nell’acqua. Narciso si innamorò appassionatamente di quell’immagine e non volle più abbandonare quel luogo. Morì così di languore e si trasformò in un narciso, il fiore che cresce ai bordi delle fonti.
L’innamorarsi della propria immagine – diventare cioè narcisisti – è interpretato nel mito come una forma di punizione per l’incapacità di amare.”
Anche Fromm indica come “conseguenza del narcisismo la carenza d’amore, poiché è evidente che se mi occupo solo di me stesso non posso amare nessun altro al di fuori di me.”
Il narcisista è incapace, a livello emozionale, di concepire il mondo esterno come una realtà a se stante. Il mondo esterno è percepito, dal narcisista, come realtà autonoma solo a livello intellettuale, ma non a livello emozionale.
“Per l’individuo narcisista”, scrive Fromm, “l’unico aspetto che gli sembri davvero reale è la sua persona: i suoi sentimenti, pensieri, ambizioni, i suoi desideri, il suo corpo, la sua famiglia, tutto ciò che lui o lei è o che gli appartiene; ciò che lui o lei pensa è vero per il semplice fatto che lo pensa, e persino i suoi difetti sono apprezzabili appunto perché suoi.”
“Il narcisista è colui per il quale la realtà è limitata a ciò che accade a livello soggettivo. Reali sono solo i suoi pensieri, le sue sensazioni, ecc…, che costituiscono la realtà”.
Il narcisista non è veramente interessato al mondo esterno ma pretende tutto per sé.
Tutto ciò comporta un gravissimo danno in quanto, questo atteggiamento, separa il narcisista dalla ragione, dalla capacità di essere obbiettivo, dall’amore, dal prossimo e da tutto ciò che rende la vita interessante.
Freud, però, ha confinato questo concetto di narcisismo principalmente alla descrizione della malattia mentale e allo sviluppo del bambino.
Noi, invece, possiamo constatare molto spesso questa condizione narcisistica anche nelle persone considerate normali.
Nella mia pratica professionale, per esempio, ho continuamente il compito di aiutare i miei pazienti ad emergere dalla propria sofferenza che consegue alla frustrazione dei loro bisogni affettivi, proprio da persone narcisiste da cui dipendono emotivamente.
Infatti, se consideriamo che per l’individuo narcisista le uniche cose reali e che contano sulla faccia della terra sono: la propria immagine, il proprio corpo, i propri pensieri, il proprio appetito, il proprio lavoro, la propria macchina, la propria casa, ecc…. mentre tutto il resto non conta nulla, allora possiamo renderci conto della sofferenza che un tale atteggiamento può provocare in chi si dovesse trovare nella condizione di dover ricevere apporti affettivi da tali persone.
Nell’opinione comune è considerata malata la persona che richiede l’aiuto terapeutico, mentre la persona narcisista è considerata sana.
Come mai?
“L’individuo narcisista”, dice Fromm, “riesce particolarmente attraente proprio per il suo narcisismo. (Il narcisista) è pieno di sé, esibisce il proprio corpo e il proprio spirito con orgoglio.
Non nutre dubbi nei propri confronti…Ciò che dice, fa, il modo in cui cammina e si muove è da lui apprezzato come se fosse uno spettacolo di altissimo livello, e lui stesso è uno dei suoi maggiori ammiratori…non è colto da dubbi e si sente sempre padrone della situazione.”
In questo modo, il narcisista suscita l’ammirazione dell’uomo medio. “Infatti, l’individuo medio”, continua Fromm, “non ha questa certezza è spesso tormentato da dubbi, per cui è sempre pronto ad ammirare gli altri esseri superiori a lui”. In altre parole, il narcisista, impersonando quell’immagine a cui l’individuo medio aspira, risulta particolarmente attraente, da qui il suo successo.
Tutto ciò presuppone, naturalmente, un certo grado di talento, di qualità; infatti, al contrario, il narcisista privo di qualità risulta ridicolo, presuntuoso e megalomane.
Il narcisista di talento usa le proprie qualità per influenzare e manipolare il mondo esterno per i propri fini, “è estremamente ingegnoso”, nota Fromm, “quando la sua intelligenza manipolatoria è
al suo massimo, ma è proclive a compiere anche gravi errori perché il suo narcisismo lo porta a sopravvalutare il valore dei suoi stessi desideri e pensieri e, a ritenere che, il risultato sia stato già raggiunto solo perché si tratta del suo desiderio o del suo pensiero”.
A questo proposito, vi riporto una mia esperienza.
Qualche anno fa una persona di mia conoscenza, molto narcisista, con una intelligenza superiore alla norma, laureata in più discipline umanistiche, mi chiamò chiedendomi un appuntamento per sua moglie. Stiamo parlando, quindi, di una persona di successo, molto stimata e ammirata da quasi tutte le persone che la conoscono.
Nei nostri contatti pregressi, quando si parlava di psicologia, di psicoterapia, lui pur non essendo laureato in psicologia, e non avendo esperienza personale nel campo della psicoterapia, si riteneva più esperto, più competente, più capace, di me e di qualsiasi altro professionista.
Quando mi ha chiamato, lo ha fatto, quindi, perché non riusciva a far sparire i sintomi di un disagio molto consistente che presentava la moglie.
Da persona molto narcisista quale era, interpretava questo disagio, principalmente, come un attacco a se stesso; ed aveva tentato, per quasi un anno, sentendosi terapeuta, di curare la moglie.
Le spiegava che il significato dei sintomi che manifestava erano la conseguenza di un atteggiamento di critica inconsapevole che lei aveva dentro di se, verso di lui, per cui gli elencava tutti i suoi pregi mostrandogli quale persona meravigliosa egli fosse, in modo da convincerla a far sparire i suoi sintomi.
Constatando che i sintomi della moglie non sparivano, ma si andavano via via aggravando, ed interpretando questo fatto come un’ostinazione persistente da parte della moglie, aveva iniziato a pensare a qualcun’altro che potesse riuscire in questo compito.
La sua scelta si indirizzò nei miei confronti, affermando di non stimare nessun professionista al di fuori di me e così credeva che, concedendomi tutta questa stima, mi predisponesse all’accettazione dei suoi punti di vista.
Io mi resi perfettamente conto del perché di tutta questa considerazione e di tale scelta, essendo più giovane di lui e alle prime esperienze terapeutiche ero più adatto ad essere influenzato e manipolato.
Difatti, quando accettai di seguire “il caso”, prima di iniziare, lui mi diede delle istruzioni, su come dovevo procedere nell’interpretazione del significato dei sintomi della moglie.
Dalle prime sedute di psicoterapia è emerso il seguente quadro familiare: la paziente, nella sua infanzia, ha avuto una madre dominante, poco disposta ad accogliere e soddisfare i suoi bisogni emotivi: di affetto, di calore, di vicinanza ecc… sempre molto ironica nei suoi confronti. Le ha trasmesso una profonda disistima e svalutazione della figura maschile. Infatti, infliggeva continue critiche e umiliazioni al padre, uomo debole, poco sicuro di se. Nello stesso tempo, però, le inculcava diffidenza e prevenzione nei confronti degli uomini intraprendenti e sicuri di se, ritenuti egoisti, traditori, poco affidabili. Tutto ciò ha determinato, nella figlia, la formazione di un carattere molto insicuro, estremamente timido, molto riservato, portato all’isolamento ed estremamente diffidente.
La paziente mi riferì, infatti, che il marito aveva dovuto prodigarsi notevolmente per indurla a fidanzarsi con lui, aveva dovuto insistere molto tempo, con premure e accortezze, per dimostrarle come lei fosse di fondamentale importanza per lui e aveva, inoltre, avuto notevole tatto, molta pazienza e costanza, per farle superare la sua estrema diffidenza verso gli uomini.
Questa estrema sicurezza, costanza e insistenza del marito a corteggiarla ha determinato nella paziente, un po’ alla volta, una fiducia e ammirazione che l’ha portata ad affidarsi completamente a quest’uomo ed a sposarlo.
Possiamo osservare, nella dinamica di formazione di questa coppia, come agiscono gli aspetti narcisistici.
Il marito narcisista suscita un grande fascino, perché molto sicuro di sé, convinto della propria superiorità e della propria grandezza, scevro da dubbi, è precisamente quel che attrae la moglie, persona al contrario con scarsa stima di sé, estremamente insicura che, affidandosi completamente a lui, compie un atto di simbiosi e di identificazione con la sicurezza e la forza del marito.
Lo ammira perché emana una grande fiducia in se stesso ed è sicuro di sé come nessun altro. Solo uomini di questo tipo possono essere tanto sicuri di sé e di qualunque altra cosa.
D’altronde, a mio avviso, il marito l’ha scelta proprio per queste ragioni, infatti, essendo lui esperto di psicoterapia, a livello teorico, sapeva che i pazienti, dal momento in cui acquistano fiducia nel terapeuta, nella prima fase della terapia, sviluppano verso di lui un atteggiamento di ammirazione e di dipendenza considerevole (transfert positivo).
Il marito, però, faceva continuamente apparire agli occhi della paziente che il suo corteggiamento aveva nobili intenti, infatti, ci teneva ad evidenziare i suoi intenti curativi e quindi amorevoli.
In realtà, la paziente, con quella scarsa fiducia in se stessa, estremamente timida, riservata, appariva ai suoi occhi, come la donna più adatta a sviluppare un’ammirazione e un attaccamento totale nei suoi confronti .
Il narcisista ha sempre una folta schiera di ammiratrici o ammiratori ma lui o lei, tra i vari concorrenti, sceglierà sempre la donna o l’uomo che lo ammira di più.
Dopo il matrimonio, raggiunto l’obiettivo, dai racconti della paziente emerge un’inversione della dinamica iniziale.
Prima del matrimonio, tutte le attenzioni sono incentrate su di lei, successivamente, si spostano sul marito; a questo punto, diventano importanti il suo lavoro, il suo studio, la sua dieta, i suoi orari e la paziente diventa, sempre di più, uno strumento di soddisfazione dei bisogni narcisistici del marito; deve sempre ammirarlo, farlo sentire il più importante, mentre i suoi bisogni, le sue idee, la sua persona, devono essere messe completamente da parte.
Ad un’altra mia paziente, ad esempio, sempre con un fidanzato molto narcisista, uomo di successo, brillante architetto, capitava la stessa cosa. Doveva avere sempre ammirazione per il suo lavoro, se lui tardava non doveva mai scusarsi, in quanto, il suo “meraviglioso” lavoro era più importante di tutte le possibili ragioni della fidanzata. Una volta, invece, è capitato a lei di fare un ritardo minimo e lui gli fece una tale scenata, dove gli rimproverava di non rendersi conto che il suo tempo era prezioso e, in quanto tale, non poteva essere sprecato. Lei doveva, con la sua presenza fisica, fargli fare sempre bella figura, per cui pretendeva di scegliere lui i vestiti, la portava nei negozi di abiti più in voga, le faceva provare gli abiti che diceva lui e decideva lui quelli che le stavano bene, quindi li acquistava. In qualche occasione, se lei faceva qualche rimostranza per questo trattamento, lui la zittiva dicendogli “fai la donna”.
Ritornando alla paziente di prima, interpreto che lo stato depressivo che sta vivendo può essere considerato come una riattivazione, nel presente, di quella stessa sofferenza che lei aveva già vissuto nel rapporto con sua madre, da bambina, quando la madre non aveva accolto le sue esigenze, non si era sentita capita e, non avendo potuto contare neanche sul padre in quanto figura debole, si era sentita completamente sola, esattamente come si sta sentendo ora, a conseguenza dell’atteggiamento narcisista del marito. A questa mia interpretazione, la paziente, avendo ancora un’immagine grandiosa del marito, mi risponde negando ogni sua possibile responsabilità, ma attribuendo ogni colpa a se stessa, esattamente come le diceva e la madre nel passato e, come le dice il marito nel suo presente, e cioè che è colpa sua se è svogliata, che lo fa di proposito a non far sparire i suoi sintomi, che non ci mette la buona volontà, che non si sforza, che non collabora con la terapia, per cui a conseguenza di questo, la stima della paziente si abbassa ancora di più, con conseguente peggioramento dei sintomi. Il marito, che si aspettava di vivere una condizione in cui lui doveva essere al centro di tutte le attenzioni, si vede costretto, invece, ad occuparsi continuamente dei bisogni della moglie, per cui, sempre più insofferente, inasprisce le sue critiche. Lui fa appello alla volontà della moglie perché faccia svanire i suoi sintomi, la colpevolizza, ritenendo che finga di proposito a star male, in modo da obbligarlo a dare tutte le attenzioni a lei; inizia ad accusare me, di non essere bravo a smascherare tutto ciò, dato che erano già passati alcuni mesi di psicoterapia e i sintomi non miglioravano, anzi peggioravano. In questa fase, propongo alla paziente di partecipare alla psicoterapia di gruppo, con lo scopo di aiutarla, attraverso il confronto con gli altri pazienti, più avanti nel cammino terapeutico, a farle prendere consapevolezza in maniera più veloce del significato dei suoi sintomi e del rapporto che vive con il marito. Dopo
qualche mese, infatti, ha iniziato a riconoscere le cause del suo atteggiamento svogliato, passivo, remissivo, dipendente ed ha iniziato ad ammettere le responsabilità della madre e del padre e, di conseguenza ha iniziato ad accennare qualche timida critica nei confronti del marito, scatenando una sua reazione furiosa. Questa reazione è la prova evidente della natura narcisista del carattere del marito, infatti, il narcisista non è in grado di accettare le critiche perché l’essere criticato evidenzia per lui una perdita di credibilità, e ciò, costituisce un pericolo, una minaccia, che mina tutta la sua condizione dalle fondamenta.
“La persona narcisista”, scrive infatti Fromm, “reagisce con vivace ira quando viene criticata. Tende a sentire la critica come un attacco ostile, poiché, data proprio la natura del suo narcisismo, non può immaginare che essa sia giustificata. L’intensità della sua rabbia può essere compresa appieno solo se si considera che il narcisista è irrelato rispetto al mondo, per conseguenza vive in uno stato di auto infatuazione e di auto esaltazione narcisistica.
Se lui è il mondo, se è ogni cosa, non c’è mondo esterno che possa spaventarlo, ecco perché quando il suo narcisismo è ferito si sente minacciato nella sua intera esistenza. Quando la sola protezione contro la sua paura, la sua auto esaltazione, viene minacciata, la paura affiora e sfocia in una furia intensa.”
Questa furia deve eliminare la fonte della minaccia, per salvare la propria narcisistica sicurezza. Ecco, allora, che deve attaccare e distruggere la fonte della minaccia, cioè la terapia.
Inizia così a distruggere agli occhi della moglie il rapporto terapeutico, le dice che il terapeuta sta sbagliando tutto, che i sintomi, per il tempo di terapia già trascorso, dovevano essere già spariti. Le dice questo per farle perdere fiducia nella terapia e, di conseguenza, allontanarla da me, per cui le pressioni in tal senso diventano sempre più pesanti.
Un giorno, infatti, la moglie, esasperata da queste pressioni, mi telefona, chiedendomi di far comprendere al marito che le accuse che lui le rivolge non sono giustificate, in quanto, lei si sta impegnando nella terapia e che, le sue difficoltà richiedono dei tempi più lunghi per essere superate; al fine di ottenere dal marito un atteggiamento di maggiore comprensione che le dia più serenità e tranquillità, per il tempo a lei necessario per superare i suoi sintomi, accetto di aiutarla e, quindi, mi fa parlare con il marito, il quale molto convinto e deciso mi elenca tutte le accuse appena esposte riguardo alla moglie, ed esprime il suo scetticismo nei miei confronti per la conduzione della terapia. Allora gli ricordo che la psicoterapia analitica (che lui conosce bene a livello teorico) si propone, di far ottenere al paziente una presa di coscienza di come, la sofferenza che il paziente sta vivendo nel presente, sia il risultato di antiche sofferenze che gli sono state provocate dalle persone significative con cui ha avuto relazioni affettive nella prima infanzia, riattivate da situazioni e comportamenti similari, attuati da persone significative nel presente e che sto procedendo, nella terapia di sua moglie, seguendo questo iter.
Gli ricordo, inoltre, che questo metodo di terapia richiede tempi lunghi, perciò, gli faccio notare che, con le sue pressioni e colpevolizzazioni, si sta comportando esattamente come la madre di sua moglie la quale, proprio con questo trattamento colpevolizzante, non ha fatto sviluppare alla figlia un carattere sicuro e forte e non gli ha fatto acquisire autostima.
Gli preciso, inoltre, che così facendo sta ritardando e ostacolando notevolmente i miglioramenti della moglie e che, è questo suo comportamento di incomprensione, di colpevolizzazione, la causa dei ritardati miglioramenti, non la cattiva volontà della moglie.
Lui, che era stato sempre a favore della terapia analitica, mi risponde che ci sono terapie più veloci, che risolvono i sintomi in breve tempo e che, nel caso di sua moglie non è necessario analizzare il passato in quanto lui, per conquistarne la fiducia, aveva già operato in tal senso, cioè le aveva fatto prendere già coscienza delle carenze che la famiglia le aveva determinato.
Gli ricordo le affermazioni, da lui fatte in passato, in cui sosteneva l’efficacia della psicoterapia analitica rispetto alle altre scuole di terapia, affermazioni completamente opposte a quello che asseriva adesso.
Lui ha negato decisamente di aver mai detto simili affermazioni, poiché “il narcisista”, dice Fromm, “basa il contenuto di verità delle sue affermazioni sul fatto che sia lui a farle, allora non
può neppure ritrattarle…Tutta la sua esistenza e la sua sicurezza poggiano sulla sua convinzione soggettiva”, di conseguenza non può essere smentito, altrimenti tutta la fiducia esagerata che ha in se stesso andrebbe in frantumi, e comincerebbe a dubitare di tutto, ecco allora che deve negare di aver detto quel qualcosa che lo farebbe apparire in errore.
Spesso ai miei pazienti, che vengono a trovarsi in tali situazioni (cioè di ricevere la negazione da parte del narcisista di affermazioni, da lui in precedenza asserite, che evidenzierebbero un suo errore), suggerisco di registrare le loro affermazioni, in modo da ottenere l’impossibilità di poter attuare un simile inganno e autoinganno.
Ritornando alla paziente di prima, nelle sedute successive, mi riferisce che il marito è in completo disaccordo con il mio modo di procedere e le dice che io non sto comprendendo affatto la sua situazione.
L’accusa è di essere stata molto furba e di avermi raggirato, presentandomi la sua persona e il suo modo di agire in maniera totalmente distorta e non veritiera per cui, non ritiene che sia più il caso che continui la terapia con me.
La paziente, invece, che nel frattempo era diventata abbastanza consapevole della personalità del marito, avrebbe voluto continuare la terapia con me, lui invece, pienamente convinto e sicuro della giustezza del suo punto di vista, avrebbe voluto allontanarla. Così gli ha procurato un appuntamento con una psicoterapeuta ad impostazione non analitica e l’ha minacciata di separazione nel caso non vi si fosse recata.
Il motivo di questa decisione si spiega con il fatto che lui, essendo esperto di teorie psicologiche, riteneva che le cause delle difficoltà della moglie non fossero da ricercare nel passato, come io gli avevo detto, ma nel presente; e poiché lui era una persona “meravigliosa” non poteva assolutamente essere lui la causa dei problemi della moglie.
Da qui, nasceva la convinzione, la certezza, che indirizzandola verso una terapia del comportamento, dove si davano indicazioni sul giusto comportamento da seguire, sicuramente sarebbe emersa la verità, di cui lui era assolutamente certo, e cioè che la responsabilità di tali sintomi era unicamente determinata dalla moglie.
Di conseguenza, secondo lui, sarebbe stata indicata alla moglie la modalità per far sparire i sintomi.
La paziente, non avendo ancora risolto il proprio attaccamento, la propria dipendenza emotiva nei confronti del marito, per paura di essere lasciata mi ha comunicato tra lo sconforto di vedersi costretta ad accettare le sue richieste per non doverlo contrariare.
Si sono recati così a questo appuntamento.
Dopo qualche seduta la terapeuta comunica alla moglie che la causa della sua malattia è la personalità del marito e che se vuole guarire deve allontanarsi da lui.
Da questa esposizione, si può notare anche che il narcisista ha la necessità di trovarsi sempre e in tutte le situazioni in una posizione di superiorità sugli altri.
Da che cosa deriva questo suo bisogno?
Nel rispondere a questa domanda, possiamo prendere in esame anche le cause del perché si diventi narcisisti, o meglio, del perché non ci si evolva da questa condizione di narcisismo iniziale.
“I bambini”, dice Lowen, “hanno bisogno di amore, appoggio, vicinanza e di contatto con il corpo della madre per sviluppare un sé pieno e sicuro”. Il contatto con il corpo della madre è particolarmente importante nei primi anni, specialmente se si pensa all’importanza dell’allattamento al seno. Il padre non può sostituirla, in questo aspetto, poiché al corpo dell’uomo manca la morbidezza di quello della donna.
I bambini, inoltre, continua Lowen, “hanno bisogno di attenzione e di rispetto per i loro sentimenti in modo da acquisire un solido senso di sé. Se queste cose mancano i bambini proveranno un senso di insoddisfazione che continuerà nella vita adulta. Simili persone diventando genitori, vedranno i bisogni e le richieste dei figli come un ostacolo all’appagamento personale”.
Se non appaghiamo i bisogni dei bambini li predisponiamo a diventare dei futuri narcisisti.
Le condizioni della vita attuale sono proprio di ostacolo alla soddisfazione di queste esigenze.
Il narcisismo della nostra cultura identifica l’appagamento personale con il raggiungimento del successo nel mondo del lavoro.
Ad una mia paziente, a questo proposito, è capitato un episodio che dimostra la realtà di questa tendenza.
La sua relatrice della tesi di laurea constatando le sue qualità, infatti si è laureata brillantemente, le ha chiesto cosa avesse in programma dopo il conseguimento della laurea. La paziente ha risposto che aveva intenzione di lavorare ma di non voler impiegare le proprie energie, esclusivamente, per fare carriera ma di volersi sposare e di voler privilegiare un’educazione appropriata ai propri figli.
La professoressa nell’ascoltare queste parole ha avuto una reazione inorridita e le ha detto che in questo modo avrebbe sprecato la sua vita.
Nell’accumulo di fama, di successo, di beni materiali si vuole essere alla pari dei conoscenti e dei vicini, altrimenti ci si sente inferiori e l’autostima ne soffre.
Questo è il desiderio che fa funzionare la cultura narcisistica e che, a sua volta, priva la vita di significato e dignità, creando individui narcisisti.
I genitori vogliono allora poter dedicare più energie alla propria affermazione personale. Per questa ragione esercitano una pressione sui bambini per farli crescere in fretta. In tal modo possono disfarsi al più presto del peso di dover essere sempre a loro disposizione.
Le donne impegnate a far carriera non hanno più tempo per svolgere in modo adeguato il loro compito di madri.
A tal proposito, giorni fa una mia paziente che mi chiedeva il contenuto di questa relazione, mentre gli stavo accennando questo punto, mi ha riferito che nel suo ambiente lavorativo, a quasi totale prevalenza femminile, una sua collega in attesa di un bambino, alla sua domanda di come avesse intenzione di mettergli nome le rispondeva di non aver tempo e voglia di pensarci.
Di un’altra sua collega mi ha raccontato che le diceva di come il momento più brutto della sua giornata è la mattina, in quanto, la necessità di doversi recare al lavoro le fa vivere con insofferenza il compito di preparare la propria bambina, cioè farla mangiare, lavarla, vestirla. Tutto questo perché la bambina avvertendo l’insofferenza, non collabora, fa capricci, allo scopo di prolungare la vicinanza della madre, tutto ciò diventa per lei un intralcio insopportabile che la esaspera, al punto tale che alla fine deve intervenire il marito ed occuparsene lui.
Un’altra collega, ancora, lascia il proprio bambino alla scuola materna alle 8:30, il marito lo riprende alle 17:00, lei ritorna a casa dal lavoro alle 19:30. La maestra d’asilo l’ha convocata per fargli presente di aver notato nel bambino segnali di sofferenza per la sua assenza così prolungata.
Come potete notare da questi brevi accenni, ma ne potrei citare ancora molti, l’assenza della madre sta diventando una costante nella nostra società e questo ha veramente un effetto negativo sul bambino, poiché la madre non soddisfacendo più le esigenze d’intimità, di contatto, di appagamento, non dà più l’esperienza di essere il mondo primario del figlio che è l’esigenza fondamentale del neonato, affinché sperimenti la sensazione che la madre sia presente.
“L’effetto principale di una tale carenza di cure e di attenzioni”, dice Lowen, “produce nel bambino la soppressione del sentimento, del desiderio, di contatto con il corpo della madre che rappresenta amore, calore e sicurezza. Questo sentimento viene soffocato perché è troppo doloroso volere disperatamente qualcosa che non si può avere”. Tutto ciò lo porterà a doversi sentire autosufficiente per forza, proprio per non soffrire di questa assenza.
“Inoltre, insieme a questa ferita fondamentale, i bambini futuri narcisisti subiscono”, dice sempre Lowen, “un’altra grave ferita narcisistica, un altro colpo alla stima di sé, che lascia il segno e modella la loro futura personalità. Questa ferita implica un’umiliazione, in particolare implica l’esperienza di essere impotenti, mentre un’altra persona prova piacere nell’esercitare su di noi il proprio potere.”
Nella storia evolutiva del narcisista questa esperienza è una costante.
Il bambino, in altre parole, è continuamente esposto ad umiliazioni in una forma o nell’altra. Tutti i narcisisti passano attraverso l’esperienza di essere profondamente umiliati, durante l’infanzia, dai genitori che usano il potere come mezzo di controllo.
In molti casi, il potere è la forza fisica; i genitori la utilizzano per costringere il bambino alla sottomissione, altre volte usano la critica, che fa sentire il bambino senza valore, inadeguato o stupido, ci sono genitori che ridono e ironizzano il bambino, quando commette un errore o sbaglia.
L’elenco dei modi in cui i bambini possono essere mortificati, picchiati, resi insicuri e umiliati nella loro umanità è lungo.
E’ facile che un bambino che vive tutto questo, ad un certo momento, potrà dire a se stesso, "Quando crescerò diventerò talmente potente che nessuno potrà più farmi tutto questo".
Quindi, questa esperienza di umiliazione impotente è la base della futura ricerca del potere del narcisista.
Essere soggetto al potere di un'altra persona è un’esperienza umiliante.
Questo insulto può essere cancellato solo ribaltando la situazione.
Questo ribaltamento non avviene, però, con il semplice meccanismo di difesa, d’identificazione con l’aggressore che abbiamo descritto nel seminario riguardante l’autorità, bensì con la costruzione e l’assunzione di un’immagine idealizzata e grandiosa di se stessi.
Infatti, il bambino che riceve questo trattamento, unito al fatto di vivere una condizione di solitudine profonda, per l’assenza della figura materna, si sente solo e spaventato.
E’ questo senso di solitudine e di paura che deve essere compensato con un’autoinfatuazione narcisistica.
Se egli è il mondo, non c’è mondo esterno che possa spaventarlo.
Se egli è ogni cosa, non è solo.
L’individuo narcisista conquista, in questo modo, il proprio senso di identità, gonfiandosi.
Il mondo esterno non è più un problema per lui, non lo sopraffà con la sua potenza, poiché egli è riuscito ad essere il mondo, a sentirsi onnisciente e onnipotente.
Quindi, quanto più grande è stata la ferita affettiva arrecata al bambino, tanto più grande sarà il suo bisogno di costruire un’immagine narcisistica di se stesso.
In modo tale che nessuna critica o insuccesso esterni possano intaccare l’immagine narcisistica.
Da questo bisogno nasce la brama di potere, di successo, di fama, che i narcisisti devono soddisfare determinando, in tal modo, una particolare avidità.
Quest’avidità è sempre frutto di una profonda frustrazione e di vuoto interiore.
Ecco, allora, che devono possedere innumerevoli donne (per gli uomini) e innumerevoli uomini (per le donne).
Devono raggiungere posizioni di potere, devono avere successo a tutti i costi, per questo sono senza scrupoli, sono disposti a fare qualsiasi cosa, plagiare gli altri, farsi fare operazioni di chirurgia estetica pur di costruire quell’immagine narcisistica che hanno di se stessi, sfruttando le debolezze altrui per raggiungere i propri scopi.
Per riuscire in tale impresa i narcisisti non devono essere umani, devono impedire a se stessi di avvertire i sentimenti.
La caratteristica fondamentale dei narcisisti, infatti, consiste nella negazione dei sentimenti, perché il provarne li indebolirebbe.
Una mia paziente, fidanzata con una persona di questo tipo, faticò notevolmente a potersi allontanare da lui, perché non riusciva a fargli comprendere la sofferenza che lui le procurava con questa mancanza di sentimenti.
Quest’uomo si riteneva, infatti, il migliore, era ambìto dalle altre donne, si considerava un perfetto innamorato, per il fatto che la portava a cena nei migliori locali, pagava sempre lui, le faceva regali costosi. E’ un professionista di considerevole successo. Di conseguenza era sconcertato, quando la paziente si dimostrava insoddisfatta della loro relazione. Le chiedeva per quale motivo era insoddisfatta. La paziente le faceva notare che, dal punto di vista emotivo, sentiva che lui non era in grado di percepire gli stati d’animo che lei viveva, che aveva la sensazione di non poter mai parlare con lui delle proprie emozioni. Lui non capiva che cosa volesse dirgli e, le rispondeva, che erano
tutte scuse che lei metteva per non portare avanti il rapporto, alludendo a chissà quali difficoltà lei avesse, dato che era in psicoterapia.
A tutt’oggi, nonostante sia passato del tempo dalla fine della loro relazione, quando si incontrano casualmente, lui le chiede sempre e ancora quale sia stato il motivo per cui lei ha interrotto la loro relazione.
Un’altra paziente si era innamorata, negli anni passati, di un ragazzo narcisista che passava da una ragazza all’altra, senza mai realmente coinvolgersi emotivamente con nessuna di loro. Infatti, si comportava con sufficienza, era spavaldo, le tradiva apertamente.
Questo ragazzo ha provato un forte impulso passionale nei confronti della mia paziente, al punto tale che sosteneva di aver finalmente trovato la persona giusta per se, e che, quindi, non aveva più bisogno di cercare altre relazioni.
Dopo un mese, però, ha iniziato ad essere di nuovo sensibile alle lusinghe di altre ragazze e, di fronte alle rimostranze della mia paziente, che gli chiedeva di essere più corretto, si giustificava dicendo che ancora era troppo giovane per impegnarsi con lei.
Allora si sono allontanati, ma dopo qualche tempo, lui è tornato da lei sostenendo che le sensazioni che provava per lei non riusciva a provarle con le altre, la mia paziente, lusingata, lo prese di nuovo in considerazione.
Ma dopo un breve periodo di tempo, tornava a presentarsi la stessa situazione, e questo si è verificato più volte, sino a quando in terapia siamo arrivati a comprendere che il ragazzo si comportava in questo modo perché aveva una profonda paura di abbandonarsi affettivamente a lei, infatti, abbiamo notato che la sua passionalità diminuiva quanto più emergeva la componente affettiva tra di loro e, doveva pertanto ristabilire una distanza.
Gli ho fatto allora notare che, le personalità narcisiste, hanno proprio come caratteristica l’impossibilità a poter vivere una relazione affettiva basata sullo scambio di sentimenti d’amore.
I narcisisti devono controllare se stessi, negando quei sentimenti che li renderebbero vulnerabili, pertanto, devono controllare le situazioni in cui si trovano coinvolti, devono accertarsi che non ci sia la possibilità che qualcuno abbia potere su di loro.
Ecco perché, questo ragazzo aveva bisogno di allontanarsi regolarmente, quando sentiva che il rapporto diventava troppo coinvolgente dal punto di vista emotivo e lui aveva paura di poter passare da una posizione dominante a quella di persona bisognosa.
Da quando la paziente ha compreso questa dinamica, non è stata più recettiva ai successivi tentativi di ristabilire di nuovo il rapporto, ne con lui ne con altri ragazzi con queste caratteristiche narcisistiche.
Un altro aspetto, che favorisce la creazione di futuri narcisisti, è quello derivante dal fatto che il narcisista appena descritto, quando diventa genitore, avendo fatto dell’ immagine di sé l’oggetto dell’attaccamento narcisistico, fa lo stesso con tutto ciò che le è connesso; cioè le sue idee, la sua conoscenza, la sua bellezza, la sua macchina, ecc. divengono oggetti di attaccamento narcisistico.
L’esempio più frequente è l’attaccamento narcisistico al proprio bambino.
Molti genitori credono che il loro figlio sia il più bello , il più intelligente ecc., in confronto agli altri. L’ammirano e l’adorano per qualità che loro gli hanno conferito, proprio perché parte di loro, diventa portatore di qualità straordinarie.
Il bambino è portato così a sentirsi fuori del comune, a considerarsi speciale, la sua immagine si colora di eccezionalità.
Di conseguenza, il figlio deve obbligatoriamente a tutti i costi avere successo nella vita, così da ricevere i riconoscimenti che faranno sentire importanti i genitori.
In questo modo, la persona speciale è legata, inizialmente, a chi la induce a sentirsi speciale e, successivamente, a chi la considera tale.
In questo modo, la persona non è libera, ne ha solo l’illusione.
L’individuo speciale vive nelle nuvole, nelle immagini, immagina una vita eccezionale e si crea un destino eccezionale, esiste però sempre il pericolo dietro l’angolo che questa immagine possa crollare di fronte alla realtà.
Spero, con questa esposizione, di esser riuscito a farvi percepire l’importanza di comprendere come il fenomeno del narcisismo non riguarda soltanto l’ambito di noi terapeuti con i nostri pazienti, ma riguarda tutto il nostro ambiente sociale.
La nostra cultura attuale, narcisistica, produce e ci induce ad esaltare e a dare valore a modelli che sono inadeguati alla nostra salute psichica ed emotiva.
Come avete potuto notare, nessuna delle persone narcisiste che ho citato ritiene di avere un qualsiasi problema emotivo. Quando i miei pazienti li hanno invitati ad avere un contatto con la terapia, hanno reagito offendendosi, ritenendo assolutamente di non aver nulla a che fare con i problemi emotivi e psicologici.
Fanno di tutto per sottrarsi alla sensazione che la loro grandezza è messa in discussione, perché la conservazione di quell’immagine narcisistica che hanno costruito, è per loro una questione vitale.
Dal punto di vista dei valori, appare allora evidente che il narcisismo è in conflitto con la ragione e con l’amore.
Proprio per sua natura, l’orientamento narcisistico impedisce che le persone vedano la realtà com’è, cioè obiettivamente, esso restringe la ragione e la capacità di amare.
Diventa di fondamentale importanza, per il nostro futuro, che l’uomo superi il proprio narcisismo, perché produce una perdita di valori umani.
Nel narcisista viene a mancare l’interesse per la qualità della vita, per i propri simili.
E’ un atteggiamento che sacrifica le esigenze umane al profitto e al potere, per cui, come dice Lowen, “quando la ricchezza occupa una posizione più alta della saggezza, quando la notorietà è più ammirata della dignità, quando il successo è più importante del rispetto di sé, stiamo dando importanza soltanto all’immagine”, invece che alle nostre vere esigenze umane.
Per questo motivo, abbiamo l’esigenza di superare il narcisismo, per salvarci dalle illusioni, per diventare consapevoli della realtà della malattia, della vecchiaia, della morte e dell’impossibilità di raggiungere gli scopi della nostra brama.
“Finché sono narcisisti”, dice Fromm, “gli individui sono estranei e nemici, incapaci di comprendere gli altri”.
La piena maturità dell’uomo si raggiunge con la sua completa liberazione dal narcisismo.
Superare il narcisismo è l’inizio di ogni forma di amore e fratellanza.
Bibliografia
Sigmund Freud, “Introduzione al narcisismo” in Freud Opere 1912–1914, Vol. Settimo, Boringhieri
Sigmund Freud, “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” in Freud Opere 1917-1923, Vol. Nono, Boringhieri
Erich Fromm, “Psicoanalisi dell’amore”, Newton Compton Editore, 1971
Erich Fromm, “I cosiddetti sani”, Arnoldo Mondatori Editore, 1996
Erich Fromm, “L’arte di ascoltare”, Arnoldo Mondatori Editore, 1994
Erich Fromm, “Grandezza e limiti del pensiero di Freud”, Arnoldo Mondatori Editore, 1984
Alexander Lowen, “Il narcisismo”, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 1985