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Le cause d'incomprensione nei rapporti interpersonali

Convegno Le cause d'incomprensione nei rapporti interpersonali
 

 

Il tema del seminario di quest’anno è il concetto di incomprensione nei rapporti interpersonali, ho scelto questo argomento perché, nella mia attività di psicoterapia di gruppo, ho continuamente l’opportunità di osservare le dinamiche di incomprensione che avvengono tra i vari pazienti. Il successivo lavoro che facciamo insieme, per capire come e perché si verifica l’incomprensione,  mi ha dato l’idea di riportare, in questo seminario, alcune di queste esperienze, dato che le stesse dinamiche, con le stesse cause, avvengono continuamente nella vita di tutti i giorni di tante altre persone che non hanno, però, l’occasione e gli strumenti  per poter comprendere le cause profonde di tali conflitti, litigi e quindi, sofferenze.   

Mi riferisco ai rapporti tra genitori e figli, ai rapporti di coppia, ai rapporti di amicizia, ai rapporti di lavoro, ai confronti politici, ecc.
Una delle principali cause d’incomprensione che ho modo di osservare continuamente, sia nell’attività professionale che nella vita di tutti i giorni, è determinata, a mio avviso, dalla posizione inconscia delle persone nei confronti dell’autorità.

In uno dei precedenti seminari, ho preso in esame la funzione dall’autorità nel produrre evoluzione o involuzione nella personalità. 
In questo seminario mi propongo, invece, di evidenziare che il tipo di rapporto che si vive con l’autorità produce la strutturazione caratteriale inconscia dell’individuo che diventa, di conseguenza, la sua modalità di rapporto con gli altri.

Se, quindi, nel processo evolutivo il bambino vive un’autorità genitoriale inibitoria, autoritaria, questo rapporto determinerà la strutturazione di un suo carattere improntato o alla sottomissione, o alla ribellione, o a un’ambivalenza tra sottomissione e ribellione, o all’identificazione con la stessa.

Poiché questa formazione caratteriale della persona si struttura nell’infanzia, fin dai primissimi anni, la personalità viene considerata, non come la conseguenza di ben precisi rapporti con l’autorità genitoriale, ma come costituzionale, “c’è nato si dice comunemente”. Cercherò, invece, di dimostrare in questo seminario che queste formazioni caratteriali inconsce sono, molto spesso, la causa d’incomprensione nei rapporti interpersonali.

 

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Possiamo dire a grandi linee che noi abbiamo, come conseguenza del rapporto con l’autorità, quattro formazioni caratteriali.

La prima formazione è quella del carattere autoritario che è il risultato di una identificazione del bambino con l’autorità genitoriale autoritaria, attraverso il meccanismo di difesa inconscio dell’identificazione con l’aggressore. Con la personificazione dell’aggressore, l’assunzione dei suoi attributi e della sua aggressione, il bambino si trasforma da persona minacciata in persona che minaccia.

Chi attua l’identificazione con l’aggressore, ha una grande ammirazione e attrazione per la forza e per la potenza.  Questa attrazione parte dall’infanzia quando, il figlio, osservando il padre e la madre giudica il più forte e il più debole e sceglie di stare dalla parte del più forte, prendendolo come modello da imitare, disprezzando e sminuendo, invece, l’altro genitore considerato debole. La persona che attua questa formazione caratteriale avrà, tuttavia, a livello cosciente, per mezzo di un altro meccanismo inconscio, “la razionalizzazione”, la trasformazione di questi atteggiamenti, di per se negativi, a positivi. 

Questo tipo di personalità, quando con il suo atteggiamento, con il tono di voce, minaccia, punisce, colpevolizza il figlio, non crede di danneggiarlo, di intimidirlo ma ha la convinzione di fare una cosa positiva, cioè di educarlo. Lo stesso può fare un professore a scuola con l’alunno, il datore di lavoro con il dipendente, la moglie verso il marito e viceversa, l’amico.

In altre parole, con la razionalizzazione, c’è  l’atteggiamento di mascherare e trasformare sentimenti, idee e comportamenti negativi, percepiti come conflittuali all’immagine che uno ha di se stesso come persona positiva, che agisce sempre con nobili intenzioni. Per mezzo di questo meccanismo di difesa inconscio si attribuisce, al proprio modo di agire e di pensare, un validità etico-morale addirittura superiore a quella degli altri. Attraverso questo meccanismo le  persone riescono a sentirsi sempre dalla parte della ragione.

La seconda formazione caratteriale è quella improntata alla sottomissione. Il carattere sottomesso vive nel continuo timore, per cui è sempre proteso ad assecondare le persone dal carattere autoritario, appena descritto, pensando in questo modo di trarne protezione. Anche il carattere sottomesso razionalizza a se stesso i propri atteggiamenti, trasforma, cioè, i propri timori in nobili intenti. Se, per esempio, ha paura di una determinata persona, si troverà sempre ad assecondarla, non dicendo a se stesso che lo fa per paura ma perché è convinto di essere sempre in accordo con lei.

Quanti rapporti di coppia, d’amicizia, di lavoro sono improntati in questo modo?
La terza formazione caratteriale è quella in cui nella personalità prevale un atteggiamento ribelle nei confronti dell’autorità. Il carattere ribelle è ossessivamente fissato sul rifiuto dell’autorità, è incapace di qualsiasi valutazione critica del suo operato, è caratterizzato da un impulso ostile nei confronti dell’autorità che lo porta ad un continuo bisogno di umiliare, di abbattere l’autorità stessa. Questo risultato si determina nella persona perché da bambino ha subito l’autorità genitoriale autoritaria, si è  ribellato ma è rimasto fissato a questo stadio, senza un’ulteriore evoluzione. Il fatto di aver vissuto la condizione di sottoposto, di aver subito le minacce, i ricatti, le 


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colpevolizzazioni, che lo hanno fatto sentire vittima dell’autorità, gli hanno fatto sviluppare conseguenti sentimenti di odio e di rancore nei confronti della stessa, per cui si èdeterminata in lui, da adulto, una forte identificazione, del tutto irrazionale,con la vittima o presunta tale. Questo determina nella persona il bisogno di creare sempre, in ogni situazione, una vittima con la quale identificarsi, perpoter lottare contro un ipotetico, quanto fantasmatico, oppressore.

Questo avviene in maniera automatica e inconsapevole, producendo a livello cosciente, nella persona che vive tutto ciò,sempre per il meccanismo di difesa inconscio della razionalizzazione, una sensazione di positività, in quanto si vede difensore dei deboli, delle vittime, delle minoranze. 

La quarta formazione caratteriale è quella ambivalente. Questa formazione è caratterizzata da una continua alternanza tra atteggiamenti di sottomissione e di ribellione all'autorità. Ora, nella nostra vita sociale, noi abbiamo in tutti i settori un continuo interagire delle persone che hannoqueste formazioni caratteriali e che, a causa delle ragioni appena esposte, nonsono quindi nella posizione di poter essere obbiettive, oggettive, per cui si determinano le incomprensioni.

Un mio paziente, padre di due figli, ha strutturato una personalità del primo tipo, quella cioè identificata con l’autorità. I figli hanno strutturato due diverse personalità, il primo si è identificato e hafatto proprio il modello paterno diventando come il padre, condividendone ilmodo di pensare e di agire, il secondo, invece, ha sviluppato una personalità improntata alla ribellione.

Ciò determina, nel rapporto interpersonale tra il padre e il figlio ribelle, una serie continua di situazioni d’incomprensione mentre, con il figlioidentificato con l’autorità, si verifica una costante coincidenza di vedute, di conseguenza, risultano sempre concordi nel conflitto con il figlio ribelle.

Qualè la dinamica di questa incomprensione tra padre e figlio?

Se analizziamo la formazione della personalità del padre, veniamo a sapere che, anchesuo  padre gli ha sempre imposto le sueragioni, le sue vedute e lo ha incanalato in modo tale che lo ha portato alla continuazione dell’attività che lui conduceva, senza che lui abbia mai potutoavere la possibilità di scegliere o si sia potuto ribellare.

Nel presente è adesso lui ad esercitare l’autorità e quindi, a livello cosciente, è convinto di trasmettere ai figli obbiettivi e valori validi.

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E quindi,  esattamente come il padre che lo portò a continuare l’attività di famiglia, senza chiedersi se il figlio lo desiderava,  lui da per scontato che suo figlio faccia altrettanto per quanto riguarda lo studio.

Non ha la consapevolezza che dietro la realizzazione scolastica del figlio c’è il tentativo di realizzazione della propria ambizione frustrata, non si rende conto che sta usando il figlio come strumento dei suoi desideri, esattamente come aveva fatto suo padre con lui. Lui però non si è ribellato come, invece, sta facendo suo figlio e qui nasce il suo smarrimento, non sa come affrontare la situazione. Tutti quei comportamenti che ha usato il padre nei suoi confronti, che su di lui hanno dato esito positivo, usati verso suo figlio non danno alcun esito sperato anzi, aggravano, sempre di più, il loro rapporto, incrementando sempre più il distacco. Il figlio si arrabbia appena il padre cerca di parlagli degli argomenti scolastici, e questo fa vivere un stato d’impotenza al padre che si sente turbato e offeso.

La dinamica dell’incomprensione si configura, alla luce di questo esempio, come quella condizione in cui, le persone coinvolte non sono consapevoli, nel loro agire, dei loro veri moventi profondi.
Quando agiscono, le persone sono consapevoli soltanto delle motivazioni superficiali, che pensano siano quelle effettive mentre, in realtà, le reazioni dell’altro sono in relazione ai nostri atteggiamenti, di cui non abbiamo consapevolezza.

Quanti genitori, ad esempio, sono convinti di comportarsi correttamente nei confronti dei loro figli riguardo l’educazione, l’ordine, lo studio, il corretto rapporto alimentare, il rispetto degli altri, anche quando hanno per risultato comportamenti dei figli tutt’altro che  in sintonia con l’educazione impartita? Non considerano minimamente che il comportamento dei figli è conseguenza, è reazione ai propri modi di essere, in quanto sono inconsapevoli di trasmettere con lo sguardo, con il tono di voce, con il proprio atteggiamento, comunicazioni diverse da quelle che pensano di trasmettere a livello cosciente, ecco perché poi la reazione che si trovano di fronte è per loro incomprensibile, da attribuire a presunte costituzionalità del figlio (è nato così) o iniziano una ricerca per capire da chi possa aver ripreso certi comportamenti, proprio perché si considera impossibile che siano stati trasmessi da loro stessi.

Detto questo, quindi, possiamo considerare le incomprensioni tra le persone, come il risultato dell’agire nei rapporti interpersonali, di aspetti emotivi profondi inconsapevoli di se stessi, di per se negativi, che vengono però vissuti a livello cosciente dal soggetto come espressione di intenti  positivi, mentre l’altra persona li recepisce per quello che sono effettivamente, di qui la sua reazione. La reazione avviene, quindi, a conseguenza della recezione del contenuto che la persona non si rende conto di trasmettere.

Un breve esempio: un mio paziente di trent’anni mi ha riferito che quando è alla guida della macchina, il padre in continuazione gli dice di mettere la cinta, voi direte “che cosa c’è di strano?” Ebbene, il fatto è che il mio paziente, quando il padre gli dice ciò, la cinta l’ha già messa. Le prime volte il figlio reagiva arrabbiandosi, il padre si meravigliava della reazione del figlio, lo trattava da maleducato e si anche offendeva. Ora il paziente mi dice di non farci più caso.

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Finora abbiamo esaminato l’incomprensione causata principalmente dalla personalità autoritaria, vi sono però anche incomprensioni causate principalmente dalla personalità ribelle.

Abbiamo visto, all'inizio, come la personalità improntata alla ribellione funzioni sempre con modalità oppositiva all'autorità; la persona con questa formazione percepisce ogni superiore come un nemico di cui non fidarsi. Attribuisce ad ogni azione, ad ogni discorso, ad ogni intenzione del superiore, o da lui percepito come tale rispetto a se stesso, intenti negativi.

Questo avviene perché nel passato l’autorità gli ha fatto vivere effettivamente queste negatività, tanto è vero che il suo carattere si è strutturato a conseguenza di ciò, per cui, attualmente, lui trasferisce, meccanicamente, lo stesso vissuto del passato su tutte quelle relazioni con persone che percepisce superiori a se stesso. Questo però è l’aspetto inconscio della personalità. La persona non sa di agire per questi moventi, ma crede, a livello cosciente, che i suoi comportamenti e le sue convinzioni siano corrette e adeguate, poiché provocate dai superiori. Non si rende conto che si rapporta agli altri in modo prevenuto, attribuendo loro atteggiamenti e intenti non piacevoli che finiscono per indisporre le persone.

Un esempio può chiarire meglio.
Un mio paziente viveva questa dinamica nell’ambito lavorativo. Nell’infanzia il rapporto con il padre è stato il rapporto autoritario classico, dove il padre ha sempre concepito il figlio come uno strumento da comandare, da cui farsi obbedire e da incanalare in modo da far coincidere le vedute del figlio con le proprie. Il figlio ha sviluppato, a conseguenza di questo trattamento, un carattere ribelle, sempre pronto a insorgere contro i superiori. Nell’ufficio dove lavorava da dipendente, questo atteggiamento di prevenzione nei confronti dei dirigenti lo portava spesso a non ottemperare alle disposizioni impartitegli, ricevendo per questo richiami e minacce di licenziamento.

Un’altro mio paziente ha avuto una madre autoritaria, assillante e soffocante. La madre è un insegnante dal carattere, nello stesso tempo, rigido e ansioso. Sin da molto piccolo gli ha fatto vivere eccessive pressioni  riguardo lo studio, lo ha fatto vivere in un clima di notevoli aspettative circa il suo risultato scolastico, e di un’eccessiva preoccupazione per l’acquisizione delle buone maniere con i parenti, con i maestri, con i vicini di casa e con i conoscenti.  A conseguenza di questo comportamento della madre il figlio, invece, ha sviluppato un carattere reattivo, sfrontato, insofferente alle regole e alle buone maniere e incostante nel rendimento scolastico. Alle scuole elementari, le insegnanti chiamavano spesso la madre per farle presente la irrequietezza e la difficoltà ad avere l’attenzione dell’alunno. Alle medie, le note per la condotta non sortivano nessun effetto correttivo. Alle scuole superiori, in più occasioni, ha rischiato l’espulsione a causa delle contestazioni dei professori. Però, per la sua intelligenza e il suo talento, è riuscito a terminare l’iter scolastico. Non ha sopportato l’attività lavorativa come impiegato dipendente che gli era stata procurata dai familiari, infatti, si è licenziato. Attualmente conduce un’attività artistica autonoma.

Come potete osservare, le motivazioni emotive inconsce di rancore, di ribellione all’autorità che hanno sempre determinato rapporti d’incomprensione con i superiori,  non hanno permesso a questo paziente di poter instaurare

 

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rapporti di comunicazione e collaborazione con gli stessi, naturalmente le sue razionalizzazioni gli hanno fatto attribuire sempre la  responsabilità di tutto ciò ai superiori “è colpa loro se si determina questo andamento”, diceva sempre.

Quelli che ho descritto finora sono casi d’incomprensione che si determinano per identificazione o per reazione all’autorità, vi sono poi altri casi che derivano dalla non consapevolezza dei propri moventi inconsci.

Ve ne presento ora uno, a titolo di esempio, per la comprensione di altre situazioni: è il caso di una incomprensione tra marito e moglie.

La dinamica di coppia si svolge nel modo seguente: la moglie si avvicina al marito per scambiare le effusioni amorose e affettive, lo avverte però infastidito e poco disponibile, allora la stessa chiede al marito quale sia il motivo di tale atteggiamento. Il marito risponde che il suo modo di avvicinarsi è  infantile, appiccicoso, soffocante e di non gradire tale modalità. Lei non concorda con lui, in quanto ritiene il suo modo di agire affettuoso e disponibile e che, invece, è lui ad essere freddo e poco disponibile ad accogliere l’affetto e le coccole. Il marito allora comincia ad innervosirsi perché non sente recepite dalla moglie le ragioni del suo fastidio, per cui ribadisce di nuovo le stesse cose, questa volta però con un atteggiamento arrabbiato. La moglie che si sente nel giusto, ritenendo di avere un atteggiamento verso il marito valido e positivo, si sente accusata ingiustamente e, di conseguenza, si offende.

La conseguenza di tutto ciò è il litigio.
Considerando che questa dinamica si ripete in continuazione, determinando sofferenza e solitudine, è naturale che il rapporto di coppia, alla lunga, diventi insopportabile in maniera tale da sfociare, di conseguenza, nella separazione.

Ma qual é la causa, il motivo di tale impossibilità a comprendersi in questa dinamica di coppia?
La moglie, nella sua infanzia, ha vissuto una situazione affettiva di questo tipo. La madre è una persona diffidente, il mondo esterno alla famiglia è fonte di pericoli, per cui  l’ha educata a non fidarsi degli altri, infatti, a conseguenza di ciò, la figlia ha poche amicizie e quelle che ha sono di tipo superficiale, formale, inoltre, il carattere della madre è improntato totalmente al senso del dovere. Pensa che le cose importanti nella vita sono essenzialmente le cose pratiche, la sua personalità è efficiente, fredda e razionale, per questo, quindi, è stata molto attenta e ha dato soddisfazione prevalentemente ai bisogni materiali, cibo, vestiti, vita scolastica mentre è stata assente, ha dato poco spazio, poca soddisfazione ai bisogni emotivi e affettivi di vicinanza, di calore, in modo tale da determinare nella figlia una condizione di carenza di queste componenti della personalità. A tutto questo vanno aggiunti altri apporti psicologici negativi provenienti della figura paterna. Il padre  ha una mentalità, un modo di pensare che considera, come caratteristiche naturali delle donne, privilegiare gli aspetti dell’affettività, a cui lui però dà una connotazione di inferiorità rispetto all'uomo, tende cioè a equiparare la femminilità a un bisogno di affetto, fragilità, dipendenza; infatti, per questo, ha sposato una donna che ha apparentemente escluso questi aspetti dalla sua personalità. Quindi l’intento educativo, data questa mentalità, è stato di far sì che questa figlia sviluppasse un carattere come il suo, indipendente, efficiente, razionale, sicuro di sé, senza cioè quelle componenti di affettività, di femminilità che l’avrebbero resa inferiore ai suoi occhi ma, cosa ancor più importante, non

 

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sarebbe stata da grande, secondo il suo modo di vedere, dipendente dagli uomini e sarebbe stata così, come in qualche occasione le diceva, “una donna con le palle”.

Quando l’ho conosciuta, infatti, per quanto riguarda gli aspetti pratici della vita, lei era la personificazione di questo messaggio educativo ricevuto. Indipendente, viveva da sola fuori di casa, studiava e lavorava. Per quanto riguarda la vita sentimentale, invece, il messaggio educativo ricevuto la rendeva inadeguata, in quanto veniva accusata di essere fredda, distaccata, incapace di dare affetto, la modalità che le era stata indicata per sentirsi valida diventava ora, invece, l’ostacolo a poter realizzare un rapporto sentimentale soddisfacente. Quando ha preso coscienza di tutto ciò, ha iniziato a far emergere i propri bisogni affettivi repressi. La dinamica d’incomprensione nella coppia da cui siamo partiti si innesca in questa fase. La moglie, a questo punto,  è convinta che sta vivendo la sua sfera affettiva, è convinta di essere positiva, non si rende conto, che il tipo di affettività che sta manifestando e che ha bisogno di vivere, è caratteristico di fasi di sviluppo infantile che lei non ha potuto soddisfare nella fase deputata, appunto, per l’atteggiamento dei genitori. Il marito le dice, infatti, che i suoi modi di chiedere o di dare affetto non sono le modalità di una persona adulta. Non percepisce, ad esempio, quando il marito essendo stanco o preoccupato non è disponibile alle effusioni e lei esattamente come  fanno i bambini, che quando hanno un bisogno  lo devono soddisfare, senza rendersi conto se il genitore sia in condizione di appagarlo o no, si comporta allo stesso modo. Se, infatti, lei in un determinato momento desidera scambiare un contatto fisico, abbracci o coccole, automaticamente vuole essere accontentata, non valuta cioè l’opportunità, la situazione, la disponibilità del marito, ecco perché  lui le dice di essere soffocante, appiccicosa e infantile.

Consideriamo ora il vissuto del marito. Il marito ha vissuto una situazione familiare di questo tipo. La madre viveva, nell’infanzia del figlio, un’importante insoddisfazione coniugale con il proprio marito. Erano avvenuti conflitti e delusioni, per cui a quell’epoca diceva di non separarsi dal marito e, di rimanere con lui, solo per il bene dei figli. Questa insoddisfazione ha determinato un attaccamento al figlio, riversando in tal modo su di lui i propri bisogni emotivi di attenzione, di contatto fisico e affetto. Il figlio, in questo modo, ha vissuto una relazione affettiva con la madre in cui  ha sentito di essere l’oggetto di soddisfazione dei bisogni della madre. A conseguenza di ciò, riguardo al contatto fisico, si è determinato nel vissuto del figlio, senza saperne il perché, sempre un senso istintivo di fastidio e di repulsione. La madre, che sa dare vicinanza e intimità  armonica, non produce tali reazioni. Quando invece la madre ha dei vuoti affettivi, questi vuoti la portano ad attaccarsi  emotivamente al proprio figlio, il quale sentirà di dover essere lui a dare invece di ricevere, ecco come si determina la reazione di repulsione, di fastidio, di soffocamento e di rabbia nel figlio.

Detto ciò, siamo in condizione di poter comprendere la dinamica di questa incomprensione di coppia.
La ragione dell’incomprensione risiede, a mio avviso, nel fatto che sia il marito sia la moglie non hanno consapevolezza, cioè ignorano le cause profonde del loro modo di interagire. La moglie non ha coscienza che, il suo modo di 

 

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manifestare il contatto fisico, l’affetto al marito, in realtà è una modalità di tipo infantile e non una modalità di una donna adulta, quindi, si sente accusata ingiustificatamente e vive, come incomprensibili, le cose che le dice il marito.

Il marito, dal canto suo, ha rimosso la consapevolezza di aver già vissuto una relazione dello stesso tipo che gli ha determinato emozioni di fastidio, di insofferenza, di soffocamento e di rabbia non risolti che sta, ora, riversando sulla moglie perché le ripropone lo stesso rapporto. Non essendo perciò consapevole di portare dentro di se antichi sentimenti rabbiosi, rancorosi, da far pagare alla figura femminile, come vendetta dei torti subiti, non è in grado di poter comprendere la condizione effettiva della moglie, quella cioè di una donna-figlia bisognosa di attenzioni, di cure e d’affetto. Ma vive, invece, con una donna-madre che pretende tutte le attenzioni per se e non dà nulla a lui, di conseguenza, considera del tutto legittimi e giustificati i suoi sentimenti di rabbia.

Come si può osservare la causa dell’incomprensione tra queste due persone è il risultato del vissuto che ognuno ha avuto nel proprio ambiente familiare, che porta a non riuscire a comprendere la realtà oggettiva dell’altra persona.

Questo è un esempio, a mio avviso, della dinamica dell’incomprensione che si determina nelle varie  situazioni di rapporto interpersonale nella vita di tutti i giorni tra genitori e figli, tra amici, sul posto di lavoro, nei confronti tra politici in buona fede.

Da quanto sin qui esposto sembra, però, emergere un quadro pessimistico circa la possibilità che, nei rapporti interpersonali, si possa raggiungere la comprensione, dato che, dagli esempi fatti, emerge la costatazione che nessuna delle persone citate è in grado di andare oltre il proprio vissuto e poter vedere l’altro in modo obbiettivo.

Questa cosa sembra confermata dall’aumento intorno a noi delle separazioni, della tendenza a vivere da single, della tendenza a comunicare non più direttamente ma attraverso il computer, evitando così il coinvolgimento emotivo.

Noi abbiamo, invece, nello strumento della psicoterapia analitica, la possibilità di cambiare  questo destino.  Nel corso delle terapie, infatti, noi costatiamo che, aiutando i pazienti a prendere coscienza delle loro esperienze passate che hanno prodotto in loro sentimenti e atteggiamenti inconsci responsabili dell’incomprensione, si produce negli stessi, sia la capacità di avere una visione più obbiettiva di se stessi, sia la capacità di comprensione delle altre persone.
Ecco allora che, nel caso del paziente ribelle che crea continuamente scontri con i superiori, il lavoro analitico fatto insieme, lo ha portato ad avere consapevolezza che l’origine dei suoi sentimenti di diffidenza, di prevenzione, di rancore, sono nati in lui per reazione al rapporto oppressivo che ha vissuto nell'infanzia con la madre, sentimenti che ora lui trasferisce e proietta automaticamente su tutti i suoi superiori.

Questa comprensione gli ha permesso, oggi, di poter distinguere, nelle personalità dei superiori, quelle effettivamente autoritarie da quelle che non lo sono.

Anche nel caso del padre che vive l’incomprensione con il figlio, quando abbiamo analizzato, nelle nostre sedute di psicoterapia, il suo vissuto e ha potuto così comprendere le proprie motivazioni profonde, si sono prodotti

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cambiamenti nel rapporto e di conseguenza, padre e figlio, hanno potuto iniziare acomprendersi. In altre parole, quando in seduta lui riportava gli scontri conil figlio, io l’ho invitato a parlare della propria infanzia e adolescenza. Nel descrivere alcuni episodi, il padre si è reso conto di aver vissuto lo stessotipo reazioni del figlio e di aver avuto, nei confronti del proprio padre, le stesse reazioni che il figlio aveva ora con lui, cosa di cui si era completamentedimenticato. Anche lui aveva tentato di ribellarsi, deciso a intraprendere una carriera diversa da quella che il padre voleva imporgli, ma alla fine, a causa delle proprie paure, si era rassegnato al volere del padre.

Ora con la terapia si rende conto che la sua ribellione aveva lo scopo di scoprireed essere se stesso ma, senza aiuto, non vi era riuscito. Quindi, alla luce diquanto detto fino ad ora: il riportare alla coscienza le esperienze e isentimenti,  che ci siamo trovati avivere emotivamente e che ora sta manifestando nostro figlio o la persona cheabbiamo di fronte, permette a noi di poterci accomunare, di provare empatia, di condividere e quindi comprendere la realtà emotiva e le ragioni dell’altro.

In conclusione, se riusciamo a richiamare alla memoria, le volte in cui noi stessici siamo comportati come sta facendo ora nostro figlio o la persona che nonriusciamo a comprendere, se riusciamo a ricordare quanta ansia e insicurezza sinascondeva dietro la nostra facciata ribelle, dietro il nostro criticare tutto,se riusciamo a ricordare di quanto ci faceva soffrire il fatto che i nostri genitori non ci capivano, tutti presi com’erano dalla loro esasperazione, seriusciamo a ricordare la pena e il turbamento da noi provati in occasioni analoghe,nonostante la nostra aria di sfida e l’ostentata indifferenza, ecco, seriusciamo a ricordare tutto questo, allora la nostra incomprensione svanirà eproveremo, invece, una profonda simpatia per la sofferenza che l’altro cerca di nascondere con un suo atteggiamento di strafottenza o superiorità. I ricordi della nostra infanzia ci renderanno pazienti e comprensivi e, una voltacompreso che, nonostante la sua testardaggine, la sua svogliatezza, il suoautoritarismo, l’altro soffre come soffrivamo noi, allora, tutta la nostracomprensione per lui, in cui ora noi ci ritroviamo, tornerà spontaneamente.

Ma perché questo accada e abbia efficacia occorre rivivere, dentro di noi, quelle esperienze in modo da ricordare, non con la testa ma con il cuore.

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